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DCCLXVII

A MESSER NICOLÒ VITELLI Nel volontario esilio, cui è stato costretto a condannarsi il Vitelli, gli sieno di conforto le oneste accoglienze ricevute a Venezia, e la venuta in questa cittá dei suoi figli Paolo e Chiappino. Chi crederá, signore illustre e padre reverendo, che il danno vostro particolare nel removervi da Castello vi abbia versato qui con si mirabil profitto? Egli è certo che, si come talora il bene genera il male, cosi a le volte il male partorisce il bene. E, che sia il vero, da la causa che vi tolse a la patria, consegnandovi a cittá si fatta, deriva non pur la fama che di uomo dotto e di cristiano ottimo vi avete acquistato, ma il modo di vivere con piú degna riputazione che giá non viveste a casa vostra. Questo dico, perché lá vi intertenea la entrata e qui vi accomoda la virtú, e piú vale il comerzio, che tenete con le nobiltá veneziane, che quanti onori vi fecer mai le genti del proprio paese, avenga che queste riguardono il sangue e quelle rispettano il merito. Onde è da benedire la tnaladizione che vi promosse a volontario exilio per via d’un giustissimo sdegno. E io, per me, giudico il vostro infortunio grazia d’una gran ventura, conciosiaché la lode, la fama e la gloria, che or ritraete da le prediche, da le dispute e dal leggere, si avanza sopra qualunche perminenza giamai speraste. Si che acquetativi del tutto, pigliando la venuta del signor Paulo e del signor Chiappino, spiriti del vostro affetto, per segno di felice contentezza, imperoché i loro occhi e le loro orecchie son fatti testimoni di ciò che qui séte e di quel che qua potete. Di Vinezia, il 8 d’agosto 1542.