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barro, nonché a un cardinale. Certo, monsignore, che la lunga amicizia e l’antica servitú, che io ho tenuto col signor Luigi, con messer Giovanni, con Sinibaldo e con voi, meritava premio e non assassinamento. Ma perché mi maraviglio io di si fatto torto, non avendo voi rispettato a quel re che ha dato riputazione a la indegnitá vostra, a quel re che trappassa con la sua liberalitá le vostre speranze, a quel re che d’infelice vi ha fatto beato? Messer Nicolò, non a me; non a me, messer Nicolò; ma a la Maestá di Francesco è suto fatto si gran torto, conciosiachè ne le case di lei e ne la sua borsa propria era anco il dono. Benché non servareste il decoro di prelato, se mostraste alcuna gratitudine dei benefici ricevuti. Onde io, avenga che non vo’ che sia piú di mia licenzia quel che non è di mia onestá, non mi son potuto tenere di non far de la ingiuria, che mi avete fatto, la vendetta che tosto si vedrá ne le stampe publiche. Intanto bascio le mani a Vostra Signoria illustrissima e reverendissima, giurandovi che in me si desidera il grado che in voi si vitupera.

Di Vinezia, il 28 di luglio 1542. « DCCI.VIII A MESSER GIORGIO PITTORE Invia un sonetto laudativo sul ritratto della Barozza eseguito dal Vasari. Eccovi il sonetto che i meriti de la gentildonna e i prieghi vostri m’hanno tratto de lo intelletto con tanta volontá, che piú non si potrebbe dire. Imperoché io non ho mai visto volto vivo, che mi abbi mosso a stupirne come il suo dipinto. Cuuciosiaché la grazia degli occhi, la maestá de la sembianza e l’alterezza de la fronte si uniscono talmente insieme, che fanno di lor medesime una composizione di bellezza piú tosta celeste che terrena. E quel che piú ammiro è che niun può^uardar