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sue, gli riempie di dolcezza ineffabile... W. Benché, nel ricordarvi per ultimo che il mèle de la femina è piú amaro che il fòle de la morte, pregovi che faciate riverenzia in mio nome al signor Gianantonio Orsino, a le splendide azzioni del quale son molto divoto.

Di Vinezia, il 2 di decembre 1540.

DLVII

A MESSER MEO FRANCI DA LUCA

Dell’accoglienza fatta dalla brigata «aretinesca> alla lettera con la quale il Franci annunciava la spedizione di certo vino preparato da lui e mandato in dono per conto del Guidiccioni. Se io potessi cosi levarmi sette cinquine degli anni che mi sfracassano la schiena de la vita, si come voi avete saputo scaricarvi de le sette lettre che vi inguidarescavano il dosso del nome, spiccarci altri scambietti che non ispiccò l’amico alora che vidde ingiorniar di rosato la sua ipocresia. Egli è chiaro che il vostro giudizio circa ciò avanza tanto quel del Sassoferrato, quanto il suo abbaiare in legge iscampana piú forte d’ogni altra dottoressa. Peroché, ne lo esser ancor egli chiamato Bartolomeo, ritenne a sé Bartolo e cacciò Meo al bordello ; onde voi, che, dando d’un piè nel forame a Bartolo, vi beccaste sú Meo, lo fate parer piú goffo che non resterebbe il vino di Cisti, se il diavolo il conducesse in campo con una sorsata del vostro. Benché io ho di buon luogo che il Boccaccio metaforicamente lodò l’atto del fornaio e non la bontá del mosto ; peroché, non essendo il dar bere al prossimo di costume fiorentino, nel vedere un si corrivo miracolo, ne vòlse far leggenda; e lo sa Iddio se il mandar di tutto il caratello fu dono o vendita. Or, per tornare al «grego» e al moscatello, che insieme con una (1) Il periodo non è compiuto.