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monsignor da la Earba, me ne son rallegrato, imperoché ha fatta fede, con tal sua dimora, de l’amore che egli porta a cotesta cittá e di quel che cotesta cittá porta a lui. E, per dirvi Sua reverendissima Signoria mi scrisse circa lo interesso di messer Mario con tanta caritevole umanitade, ch’io non so se altra simile si trovò mai in prelato, assicurandomi de la ritornata di lui molto largamente. E, perché il clarissimo mastro Lucalberto desiderava di sapere ciò che sopra il caso del figliuol suo mi si avvisava, diedi la carta di monsignor predetto a un medico da Rimine, allevato costi, con imporgli che gliene mandasse la copia: de la qual cosa non ho anco saputo nulla. Ma che opera ho io mai fatto per le brigate perugine, onde ne debba ritrare una si publica e cosi comune benivolenza? È vero che io le tenni, tengo e terrò sempre collocate ne l’anima. Onde, se per una isviscerata affezzione si merita tanto, accetto la grazia, che io ho con tutti, con tutto il core, sia il premio di ciò il dolore e la letizia ch’io provo ne lo udire il lor male e il lor bene. Intanto degnisi la Eccellenza Vostra raccomandarmi al mio fratello Bitte Caporali, a Gianbcrardino e a Luca, miei giá sono tanti e tanti anni. E, quando sia che la schiera, che solo per vedermi vói venir qui in abito de peregrini, pur ci venga, gli riccorrò, in quanto a l’animo, con l’affetto che i santi raccolgono le preci di coloro che offeriscono i voti dintorno a le loro imagini. E, nel concluderla, piacciavi di raccomandar la mia vita a le orazion di quelle moniche sacre, che mi ornano di tante laude, collocandomi nel numero dei veraci e dei giusti.

Di Vinezia, il 15 di luglio 1542.