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me verrebbe ingiuriata quella, che, nel ricever la veste quasi in prima ch’io ve ne aprisse bocca, mi ha converso in isttipore. Conciosiaché la prestezza del mio tosto chiedervcla è vinta da la celeritá del vostro subito mandarmela ; caso si strano ne la natura dei principi, che, se il cosi fare non fusse proprio de la Eccellenza di voi, non so se me lo credessi al mio sentirmela indosso. Certo ch’io non gliene darci fede, avenga che non mi par che possa essere che l’acqua, clic esce da la vena comune de l’uso ili ciascun gran maestro, ritorni indietro, mentre corre inanzi. Ma, poiché egli è pur vero, ancorché, come ho detto, tal cosa non sia nuova in Ercole Estense, non ne faccio men conto che se io vedessi risuscitare un morto da un segno di croce chietino. Ma, se si dee ammirar di ciò, che io dico, non altrimenti che di uno atto miracoloso, con che ciglio guarda il mondo quel vostro non men santo che reai costume, per la cui virtú volete che il prometter e il dare sia un medesimo? onde chi riceve i vostri doni è consolato due volte: l’una ne la prestezza e l’altra ne lo effetto. Maniera molto diversa dagli andari signorili, imperoché essi, col non dar mai e prometter sempre, disperano altrui col danno e vituperatigli con la beffe; onde i vertuosi, mutata la modestia in furore, si vendicano in modo coi lor nomi, che ne divengono infami. Testimonio Pasquino e il clero. Brutta cosa è il mentire ! Ella c si laida, clic disdegna gli animi talmente, che si conducano ai ferri. Ma, se dal mentirsi di questo e di quello ne deriva pugna e morte, che dovria intervenire a colui che mentisce se proprio? Imparino i monarchi a servare il decoro, che se gli appartiene, dal vostro essenipio. Onorando la lor parola súbita con lo intender presto c mantenendo il «si» dato, faccinsi schiavi gli uomini, che gliene credono. Anzi perseverino pure nel mestiero de le menzogne solite; imperoché sarebbe male che voi, che séte unico nel fatto del dire il vero, aveste a far parte ad altri di si bel titolo.

Di Vinezia, il 9 di luglio 1542.