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ma d’esservi obligato ancora. Peroché io mi reputo in proprio benefizio qualunche bene vien fatto a quegli de la comune patria. Si che la Signoria Vostra da qui inanzi usi tutto quel che io posso e so in servigio dei suoi piaceri e in grado dei suoi onori. Benché son tali per se stessi, che non han bisogno de la lingua né de la penna altrui, ed è certo, che il nome de le vostre chiare qualitadi si fa udire nel mondo, con somma gloria de la cittá in cui nasceste e con molto utile de la republica la qual servite; talché me ne rallegro anche io con il sincero di tutto l’animo. E ben debbo farlo, poiché, oltre la vicinanza del paese, i castellani e gli aretini fúr sempre congiunti di fraterna amistade. Or io non vi pregarò altrimenti circa il perseverare in defender le ragioni de l’uomo predetto, avvenga che voi séte a la condizion di quei fonti che fan tuttavia la medesima abbondanza a chi corre a trarsi la sete con Tacque loro.

Di Venezia, il primo di decembre 1540.

DLVI

A MESSER BONIFAZIO DA NARNI

Stia di buon animo: alle discordie civili, che gli fanno ora soffrire Tesilio, succederá la concordia, che lo fará tornare in patria. Tutto il dispiacere che io, o fratello, aveva ne l’animo nel caso del non intender io cosa alcuna di voi, si è convertito in piacere, mercé de le lettre, che la mano vostra ha scritte al nostro non men fratello che amico messer Girolamo Romano. E tanto piú me ne son rallegrato, quanto il ricetto, che avete, è piú degno a la vostra qualitá e piú securo a la vostra vita che altro luogo che sia. E però attendete a star sano e a sperare in Dio; ché ben verrá tempo che la guerra e il disagio, che vi tiene in bando, vi renderá a la patria in pace e in commoditá. Egli è certo che nel finito mondo ogni cosa ha fine; e, avendolo, è forza che, si come la