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Ambrogio mi manda d’india, ne la qual dice: «Da che in cotesto nostro emisperio non ci è piú rimasto signore che non vi abbia presentato, delibero portarvi doni fin dagli antipodi». Intanto il re d’ Inghilterra e quel di Portogallo, con ciascun grande di Spagna, l’han talmente veduto per mio rispetto, che è molto maggiore la somma ch’egli ha ritratto d’altrove che quella dei danari giocatimi in Francia. Onde non pur non mi maraviglio de le turbe che mi crucciano con la invidia che gli trafigge, ma nel ponermi talora nei piè di tali, considerando a la veritá di ciò ch’io parlo, quasi che odio me stesso, in servigio loro. Ma notino questa i malivoli. Un todesco de’ Rossi, agente del sofi appresso la Maestá di Cesare, desinando in Provenza con la sacra memoria del Guidiccione, raccontò a Sua Signoria il nome che io tengo in Persia; per la qual cosa il Franciotto, che ci fu presente, mi offeri per propria benignitá di volere andare lá per me. E, se noi disse il Petrarca, suo danno. Dí Vinezia, il 4 di maggio 1542.

DCXCIII

A MliSSER NOFRI CAMAIANI

Chiede un favore. Io non istò in forse circa il piacere che io vi adimando, avenga che io so certo che non vorrete farvi vergogna con il contradire a la mia richiesta, peroché, essendo io voi medesimo, il negarmi ciò che vi chieggo, sarebbe un dimostrare che non aveste potestá in voi stesso.

Di Vinezia, il 5 di maggio 1542.