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del fuoco del suo amarvi, lo farei con mio onore; da che sempre rísguarda con gli occhi de le cordiali tenerezze voi, che mai non mirate con le luci de la chiara liberalitá me, che ascolto ciò, che le veementi lingue de la Fama predicano de le vostre inusitate magnificenzie, come spirito converso a la cagion che lo induce a maravigliarsi. E, stando tutto astratto in considerar la pompa del vestire, la delicatura del mangiare, la nobiltá de la corte, la affabilitá de la conversazione e la grandezza del donare, concludo che Italia è bella apunto dove si dimostrano gli splendori de le generositá vostre. Perché la dimenticanza, ne la quale mi avete posto, è malizia di quella sorte rea, che mi accresce in reputazione col perseguitarmi. A onta sua, vi divento ogni di piú servitore.

Di Vinezia, il primo di maggio 1542.

DCXCII

AL CAPITAN FRANCESCO FALOPPIA

Certo, come poeta, egli, Aretino, occupa Pultimo posto; ma, quanto a sapersi fare stimare, nessuno può competere con lui. Figurarsi! senza parlare dell’accoglienza fatta dal re di Portogallo a quel briccone di Gian Ambrogio degli Eusebi, che gli si presentò in suo nome, periino in Persia si discorre dell’Aretino con ammirazione. Poco mancò che io non son converso ne le risa, che in me hanno mosso i versi, nei quali dite ette, se i tre magi fussero al mio tempo, che anche eglino sarieno isforzati a tributarmi, come ormai tributano, si può dire, tutti i principi del mondo. Certo che, circa le poesie, cedo a ciascun che ora scrive e che giá scrisse; ma, nel caso del farsi stimare, non darei la man ritta né a chi giá scrisse né a chi ora scrive. Imperoché lo studio, che si pone in opera, è stento di pedantaria, e il mostrar d’essere da qualche cosa, giuridizione di potentato. Certo che io, con il ringraziarne Cristo, piansi di lettizia nel leggere la lettra che