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de la temeritá usatavi da lui per sua tristizia, e la ringrazio de la cortesia mostratagli da voi per mio rispetto. Ma perché non so io cosi lodarvi de l’una cosa come so vergognarmi de l’altra? Certo che, se io circa ciò tenessi tanto di stile quanto tengo di rossore, con lo essempio de la vostra mansuetudine incitarci agli uffici de la benignitade qualunche si sia monarca. E sarebbe il farlo un sommo onore del mondo, avenga che la superbia d’oggi è tale, che fino agli animi dei plebei gonfiano col vento de l’arroganza signorile; onde l’umanitá, con cui voi accoglieste il predetto, fu miracolo di virtú celeste, c non atto di costume terreno. Talché, si come Iddio, per aricchirvi di nuovi imperi, consente che tuttavia si trovino nuovi paesi, cosi meritate, per adornarvi di lodi pellegrine, che la natura produca di continuo ingegni insoliti. Conciosiaché le celeberrime penne, che ci sono, a pena bastono a dire che i vostri latti, sicuri da ogni suspezzione di menzogna, saranno sempre accettati da lo stupore de la maraviglia; onde il nome loro, ne lo estendersi per il corso immortale de la gloria sempiterna, non può essere da nulla invidia impedito. Intanto le nazioni senza legge, senza fede e senza virtú, da voi ridotte a la equitá, a la religione e a la docilitadc, usano lá, in quel clima nel quale l’avete vinte, le lingue invece degli inchiostri. Talché il testimoniarlo in che maniera, di rozze, di feroci e di dure, le rendete culte, facili, benigne, è tra loro quasi annale di memoria ereditaria. Or dei popoli, che predominate con paterna giuridizione di misericordia e di giustizia, non parlo; imperoché le consolazioni de la pace, le commoditá del vivere, le grandezze dei guadagni, l’eccellenzie degli onori, con cui li tenete e quieti e conienti e abondanti e reputati, suppliscono al mio tacere. Dirò bene che 1 universo, nel veder risplendere in voi quel lampo di valore e quel lume di prudenzia, dei quali mancano tutto il resto dei principi, voi solo inchina e voi solo glorifica con l’animo che vi glorifico e inchino io, che, per un chiaro segno di ciò, dedico me stesso a la Vostra poco meno che celeste Altezza con piú che umana riverenza. [Di Vinezia, aprile 1541?]