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sentendole commendare, rispondo che non è maraviglia, conciosiaché un cotal difetto è propria natura de l’uomo; onde ascolta piú volentieri il mal che si dice d’altri che il bene che vien detto d’altrui, perché ci pare che le lode, che ad altri si danno, si rubino ai nostri onori, e che quelle, che ad altri si tolgono, si trasferischino in noi medesimi. Benché le qualitá de le persone non si debbon misurare con le dita, come le sillabe dei versi. Ma io, per essere simile a un dado, che sempre riman fermo ovunche il caso lo getti, ne do quella cura che diedi di ciò che di me scrisse un certo Franco, che si gran tempo ho tenuto fuora di quei pidocchi, che son ritornati a divorarlo. Il veramente pazzo da forche, nel porre ne la luce de le stampe le tenebre de le sue taverne, l’ha veduto morire mentre nascevano; onde è rimasto come il ladro, il quale vien preso in quello istante ch’egli fura, talché comincia prima a piangere de la pena che a ridere del furto. Di Vinezia, il 12 d’aprile 1542.

DCLXXX

AL SIGNOR S. G. Credeva forse un signor tal dei tali pagare solo dieci ducati le lodi dell’Aretino? Io ho rimandato i dieci ducati a l’amico, supplicandolo che si degni, nel ritór del suo dono, di rendermi le lodi per me dategli. Imperoché non mi par onesto di onorar chi mi vitupera nel modo che mi vituperarebbe l’avere accettato cotal piú tosto limosina da mendici che presente da virtuosi. Certo che a quegli che comprano la fama conviene esser larghi da senno, dando, non secondo il grado del loro animo, ma come richiede la condizion di chi gliene vende; coneiosiaché i poveri inchiostri han che fare, mentre attendono a sollevare in alto un nome impiombato in terra da ogni demerito.

Di Vinezia, il 12 di aprile 1542.