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DLII

AL SIGNOR GIAN PAULO MANFRONI

Ha tardato a ringraziarlo dei danari, die, senza alcuna richiesta gli ha inviati in dono, perché stupefatto dell’aver potuto riscontrare cosi inaudita generositá in un signore. Vero che si tratta del signor Giampaolo, al cui nome nessuno elogio è pari. Se io non vi ho prima che adesso ringraziato dei denari, che in nome di voi per il cancellier suo mi mandò il gentile signore Scipio Costanzo, e parente vostro e spirito de le volontá generose, non me ne biasimate. Perché io, nel vedere il presente non aspettato, per esser fuor del costume dei grandi, ne presi tanta ammirazione, che da quel punto a questo il mio animo e i miei sensi, preoccupati da si strana novitade, son paruti una comunitá; che, s’aviene che ella, quando mcn ci pensava, senta isgravarsi del peso de la insopportabil miseria, confusa da la maraviglia e da l’allegrezza, non fa se non pensare a la cagione de la sua felicitá repentina: a la fine, riconoscendo il miracolo da Dio, con il referirgliene grazie, mette il benefizio a conto de la pietá di lui. Veramente io debbo equipararmi a ciò. Ma, sapendo io di che sorte è suto al mondo il legnaggio del qual séte, nel darvene la lode che meritate, confesso di aver goduto del ben fattomi, mercé de la bontá di voi, e non per grado de le qualitá di me. Che dico che Italia ha ben ragione di cominciare a por le speranze dei suoi onori ne la somma de le vostre virtú, a le quali vi dimostrate, per le quali vi affaticate, de le quali vi fate e ne le quali andate, come sempre si dimostrorono, si affaticarono, si fecero e se ne andorono i padri e gli avoli, da cui traete l’origine. Talché lo imperadore, la Toscana, il pontefice dénno ormai recarsi in pensiero di restituirvi al tempo debito gli stati, le castella e le cittá, guiderdoni dedicati a la valorosa prudenzia de la casa Fortibraccia; i trofei, le spoglie e Tarmi de la quale sono