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A SIGISMONDO FANZINO

La falsa data di Torino, apposta alle Priapee e alle poesie contro l’A. di Nicolò Franco, non basta a celare che esse sono state stampate a Casale e sotto la protezione del Fanzini. Ma, quantunque il cardinale Ercole Gonzaga, per troppa bontá, tolleri che nei domini del duca di Mantova si stampi simile robaccia, egli, Aretino, saprá ben vendicarsi contro il poeta e chi lo protegge. Io mi rallegro con Vostra Altezza de la lode e de l’onore, che la magnanimitá de l’ambizion di voi ha saputo procacciarsi. Io parlo ciò a proposito di quel Franco, che, in memoria d’un mio servitor, porta isfregiato il viso. Egli è veramente degno del giudizio che vi avanza l’avervi saputo collocare appresso il beneventan poeta; onde non è piú dubbio che vi farete immortale. Ma è possibile che non vi accorgiate che, ancora che le virtú, ch’egli pare avere, fusser grandi come i vizi, che egli ha, non sarieno atte a spontarvi fuor del nome due dita d’onore? Il tanto pazzo quanto ignorante, il non men superbo che povero e lo ingrato come presuntuoso, scrivendo di voi, ha preso un suggetto molto conforme a la sua pedanteria; e, mentre cerca di glorificarvi nel modo che si vedrebbe, se le sue inezie fosser lette, va insalando le sciocchezze, che l’han tenuto, che lo tengono e che lo terranno in cenci di continuo, coi detti rubbatimi da lo stile, che mi indorò, che mi indora e che me indorará sempre. Certo che il disutile mi sa benissimo invidiare e malamente imitare; talché, nel creder di trasformarsi tuttavia in me, rimane sempre se stesso. Onde era meglio per lo sciagurato Io imparare a esser buono col mio essempio che volere insegnar ad altri a esser tristo col suo. Ma poniam da parte ciò che di me anfana quella bestia, che, ne lo affacchinarsi di viver in carte, muor da fame in carne. Parvi uffízio di un che regge il Monferato, benché a torto, il sopportare che