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DCXXIV

A MESSER LODOVICO DOLCE

Quanto è lieto che il Dolce si sia esibito a ricopiare e a curare la stampa del secondo libro delle Lettere, e quanto è imbestialito contro gli stampatori ignoranti, che sogliono infarcire di spropositi le sue opere! Ne lo andar io pensando, compar caro, quale in voi sia maggiore, o la dolcezza de la conversazione o la eccellenza de la dottrina, ecco che la cortesia vostra ci entra di mezzo con rofferirmi di riscrivere il secondo de le mie Lettre ; onde sto per sentenziare che ella sia a la gioconditá de l’una e a la profonditá de l’altra, se non superiore, almeno uguale. Benché io ho tanto rispetto in consentire che ciò fate, quanto voglia che ciò si faccia. Si che non sia chi me lo attribuisca ad arroganza, avenga che, in accettare con modestia si grande offerta, dimostro con che animo desidero di ricompensarlo. E, quando pur non ne ritraeste altro, è assai il testimoniare, con la caritá de la istessa fatiga, che voi séte nato a comune utilitá, come gli uomini buoni. Veramente una opra bene scritta e ben puntuta è simile a una sposa bene adorna e ben polita; onde coloro, che la debbono imprimere, nel vederla si fatta, ne hanno quel piacere che si prova mentre si vagheggia il polito e lo adorno de la donna predetta. E però non è maraviglia s’io bramo che la mia appaia tale, quale la saputa vostra diligenzia è per farla apparire. Io vi giuro per Dio che non altrimenti fuggo il legger carta de le composizioni mie, che fuggiria un padre tenero il vedere la brigata dei suoi figliuoli, caso che le crudeltá de le bálie avessero causato in ogni parte dei membri loro di quelle piaghe monstruose che la rabbia dei librai, invidiando il Marcolino, ha voluto che faccino gli stampatori in tutti i volumi che escono da me; che son certo che essi acquistaranno l’esser di prima, mercé de la umanitá che vi move ad averne compassione, si perché voi, per amarmi, gli reputate cose del vostro