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uomo e da me tanto osservato la oppenione di ciò. Niuno mi stimi in si mal senno, ch’io non conosca i difetti de le figure abozzatemi da la debolezza del disegno e guastemi dal triviale del colorito; onde sono senza punto di rilievo. Io, con lo stile de la pratica naturale, faccio d’ogni cosa istoria, ed èmmi forza secondare l’alterezza dei grandi con le gran lodi, tenendogli sempre in cielo con l’ali de le iperboli, non avertendo a lo studio de l’arte, il decoro de la quale, con la gioconditá dei numeri, esprime i concetti, intona le parole e adorna le materie. A me bisogna trasformare digressioni, metafore e pedagogarie in argani che movano e in tanaglie che aprano. Bisognami fare si che le voci dei miei scritti rompino il sonno de l’altrui avarizia, e quella battezzare «invenzione» e «locuzione», che mi reca corone d’auro e non di lauro. Ma qual secolo non serberá la memoria del mio nome, che per sé nulla merita, avendolo segnato la eterna penna del Bembo?

Di Vinezia, il 9 di agosto 1538. CD1 . A MESSER LIONARDO BARTOLINI Non si faccia scoraggiare dall’esilio e perseveri nel ben fare. Da che, fratello, anco i principi si vendicano perdonando, e, mentre constringono la severitá a far ciò, allargano la lor potenza, è atto laudabile a non dar cura de le ingiurie fattevi cienzia. da la sorte, Io, ottimo e nel dementicarvele amico, mi tengo ampliate beato per la vertu non essere de la infe- palice, ridendomi de le occorrenze che dolgono, poiché fino ai i re suoi sono peccati tócchi agli da le iniqui, aversitá. perché Né Iddio mi turbo usa nel spesso vedere il dono far prò de la prosperitá sopra di loro, acciò la mutazione del primo stato al secondo gli aggravi piú. Ma, perché il nascere nobile, il vivere onorato e il morire glorioso è una concordanza che si vede