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senza por mente al discreto del dovere, con l’audace de la volontá sua, ha fatto notare di presunzione il semplice de la modestia mia. Perciò sodisfate pure a l’uffizio e al particolare vostro, ché io, per me, sono uomo non meno ragionevole che amorevole.

Di Vinezia, il 7 d’agosto 1538.

CCCXCIX

A MESSER BERNARDINO TEODOLO

Ringrazia del dono di alcuni latticini, accenna al successo avuto in Roma dal primo libro delle Lettere , e chiede un vasetto di ciliege confettate. Fratello, egli bisogna nascerci cortese come séte voi: altrimenti l’asinaria entra in possessione de le nostre pidocchiarie, subito che aviamo un pane da mangiare. Che altro è l’uomo, che attende solo a sé, che un lupo intento a sfamare se solo? L’avarizia transforma colui, che la possedè con molte ricchezze, in una conca d’oro piena di sterco. Perciò voi, che fuggite cotal puzza, vi séte mosso a farmi parte de le cose rare in Furli. Io ho ricevuti per caro presente i limoni còlti da le poppe de la vostra greggia. Né pur uno è mancato del numero loro. E mi si dee credere, avendomigli dati messer Francesco Marcolini, il cui animo è tanto simile al mio, che un di donará se stesso come mi avrei donato io, se fosse chi si degnasse di accettare si vile impaccio. Ma, sapendo io che me gli avete mandati perché io gli mangi e non perch’io ve gli paghi col ringraziarvene, dirò che non mi maraviglio de la furia che a Roma si faceva intorno al libro de le mie Lettre , perché anche i fanciulli la fanno tale nel vedere le prime ciriege. De le quali sarete contento farmi empiere un vasello, de le marasche dico, e, tosto che sieno confette, mandarmele. Né vi paia nuovo ch’io mostri in desiderarle appetito di donna gravida, perché in Arezzo