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da la continenza e da la libidine. Veramente ciò, che dispongono le azzioni e le passioni, sono tra due estremi di male e un mezzo di bene; e chi non lascia la malizia di quello per la bontá di questo, è sproporzionato in tutto il pellegrino de la fantasia. La quale ha nobiltá in sé, per sé e da sé; onde vòle che la confortino i fiori de la gioconditá e le rose de la letizia, e il diporto è il seme che ingravida i suoi concetti. Talché partorisce non solo le penne de la fama e i lumi de la gloria, ma gli schermi de la menzogna, de la malignitá, de la maladicenza, de l’odio, de la ingiuria, de la crudeltá, de la iraconditá, de la contesa, de la nimistá e de la pugna, rami de l’arbore de la invidia, la cui ombra aduggia tutte l’opere buone.

Di Vinezia, il 3 di luglio 1538.

CCCLXXXI

AL MAGNIFICO OTTAVIANO DEI MEDICI

Se lo ha beneficato Giovanni dalle Bande nere, che era povero, figurarsi se non può beneficarlo il duca Cosimo, che è ricco. La gloria de lo imperadore, creatura umile, non pur si degna ramentare a la Sua Eccellenza la mia servitú, ma dirle che, come piú tosto mi fará beneficio, piú le sarò grato; onde si dee stimare che le parole auguste non sieno indarno. Oltra di ciò, il signor Cosimo può ricordarsi d’avere scritto al duca d’Urbino che mi assicuri le speranze, percioché non saranno vane. Scrive anco a me, confessando che quella, ch’io ebbi col padre, fu fratellanza, non amicizia, e che perciò tenga fidanza in lui. Appresso Vostra Signoria, per gli ultimi cinquanta scudi contatimi dal Lione, mi notifica come il principe di Fiorenza mi ha nel grado, nel quale mi ebbe il padre. De la qual cosa mi rallegro e ringrazione Iddio: perché, se egli, che fu tanto piú povero d’ogni altro quanto piú d’ogni altro animoso, mi intertenne largamente, debbe parer strano a un si gran duca il darmi