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Io confesso che il supplizio de chi falsifica l’oro dovria punirmi, quando per me si fosse rotta la catena, non del si lungo né del cotanto, ma del si grande e del si dovuto amore, le tenerezze del quale, sendo il latte de la virtú, sogliono eternamente nutrire la carnalitá de l’amicizie e non la domestichezza de le compagnie. Ché altro è amico, altro è compagno. L’amicizia è concordia de l’oppenioni, e la compagnia scisma di pareri; e, si come de la conformitá di quella deriva pace e letizia, cosi de la varietá di questa nasce scandolo e tristezza. L’amico è retto da la gravitá dei costumi, da le operazion de le virtú e da l’abito de la lealtá ; e il compagno è mosso dal desiderio de le cose, da la lascivia de la voluptá e dal tedio de l’ozio. La benivolenzia è obietto del continente de la vita, e la conversazione subietto del licenzioso del vivere. Adunque, o da me riverito Sperone, io ho smarrito compagni e non perduto amici, percioché i compagni si smarriscono sempre e gli amici non si perdono mai. Le cene, le feste e gli usi ritrovano i si fatti; e la scienza, la prudenzia e l’amor ritengono i cosi fatti. Io, aiutato da quella cosa divina che è in noi, onde ci muoviamo a pensare d’iddio e de la potenza sua, tengo che gli amici sieno stelle poste nel cielo del corso umano. A me paiono l’amicizie membra de la felicitá; mi paiono anche sangue e anima del sangue e de l’anima di coloro che se ne deiettano. Veramente io, ne lo acquistarle, ho sostenuto assai fatiche e scorsi molti pericoli ; cosa che non ho voluto fare in procacciarmi facultá e dottrina, perché Luna non ho stimato e l’altra non ho compreso. Or, per tornare ai predetti, io a loro aprii ognora l’uscio del core; essi a me ognora lo chiusero. Io tuttavia gli amai per bontá; essi tuttavia mi amarono per consuetudine. Io sempre gli diffesi ; essi sempre mi punsero. Ma, s’è difetto di natura, gli scuso; s’è colpa d’invidia, gli ho compassione; e s’è vizio di costume, mi taccio, non restando di tenergli ne la mente, rallegrandomi de la eccellenza de le lor virtú, piú che eglino forse non si attristano del grado de le mie. Ma, perché non si provano piú sommi né piú veri né miglior beni di quegli de l’amicizia, dico che gran sustanzia