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de le sue furie e da la frequenzia del combattere, lo maledivatio, lo biastemavano, lo dispregiavano, lo rifiutavano e lo rinegavano: intanto, dandosi \< a l’arme», scordatisi ogni fastidio, facevano a gara in accrescergli gloria col proprio sangue. Io, disperato dal frutto che non fece la lettra per me scrittavi da lo imperadore, traffitto da la caritá che, in due volte che séte stato in Arezzo, non avete usata ai miei, vituperato dal vostro non mi comandar punto e crocifisso dal mai non aver ricevuto un verso da la madre vostra, favello ciò che mi viene a la bocca; ma, ne lo udir toccarvi l’onor del nome, me ne risento nel modo che me ne risentii, quando scrissi a Sua Maestá che mi congratulava seco del parentado papale, peroché le qualitá del gonfalonier de la Chiesa si confacevano a le virtú del signor Giovanni. Testimonio la carta ch’io ebbi in risposta di ciò da don Luigi d’Avila e da Gonzalo Peres, la qual pur vi mandai. Ma poniam caso che io non abbi con Vostra Eccellenza familiaritade alcuna: volete voi, col non donarmi, esser da meno di tanti gran maestri, i quali, se ben non gli ho mai visti, nonché mai serviti, ognor mi donano? Questo anno, mercé di Dio, oltre a quello che ho ritratto dal spontaneo de la volontá e dei duchi e dei marchesi e dei cardinali e d’ogni altro gran maestro, son suto presentato da Cesare, dal re di Francia, dal re d’Inghilterra, dal re dei romani e da la regina di Polonia. Ma non mi vanto di ciò per superbia ch’ io ne abbia, ma perché si sappia che avete uno schiavo che può tanto. Ma, se altri mi dicesse: — U’ sono si alti doni? — risponderei: Dove la prodigalitá di colui, del quale séte figliuolo, mi insegnò che io gli gettassi. E, con questo, bascio le mani a la illustrissima Vostra Eccellenza.

Di Vinezia, il 25 di settembre 1540.