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e doppo il seguir del caso, sareste suto quel che séte per essere, tuttavia che vi farete ciò che devreste farvi e quel ch’io vorrei che vi faceste. Ma, perché son certo che vorrete essere quel ch’io bramo che siate, voglio che l’autoritá, ch’io tengo col famoso Sansovino, lo sforzi a perdonarvi. Ma in questo mezzo ricordatevi, si come traete l’essere da cotanto uomo, di ritraine anco la bontá.

Di Vinezia, il 16 di settembre 1540.

DXXXVI

A MESSER NICOLÒ BONCI Si scusa della sua pigrizia nello scrivere, ricorda con rimpianto il defunto Fabiano Bonci, e promette allo zio di far quanto è in lui per fargli conseguire in Arezzo l’ufficio che desidera. La vostra carta, zio onorando, mi ha sparso il volto di quei colori vermigli e rossi, con cui gli dipigne lo stile de la vergogna. Peroché, essendo voi ripieno di virtú oneste e adorno di scienze civili, devrei esser sollecito a scrivervi; come io, essendo fanciullo, era presto a corrervi intorno, ogni volta che il dolce amor de la patria vi toglieva a lo studio di Siena. Benché l’animo, nel qual vi tengo con somma riverenzia, cancella il diffetto de la penna, le cui pigrizie per lo avvenire si convertiranno in velocitá. Intanto amatemi con quel core aperto, col qual mi amava il vostro maggior fratello messer Fabbiano, canonico venerabile, sacerdote ottimo e uomo splendido. La cui memoria splendida, ottima e venerabile mi trae ora dagli occhi lagrime Eviscerate, peroché egli fu uno dei piú leali amici, dei piú grati compagni e de le piú cortesi persone che per me si conoscesser mai. E la cagione del mio mostrar si poca voglia di tornar costi procede dal suo esser morto. Ma piaccia a Dio che di quella vita lunga, che meritava goder egli, godiate voi, che séte degno, bontá di voi stesso e non mercé