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è dubbio che il signore Ercole, principe mansueto, nel dare solamente a chi gli chiede, dimostra quanto egli partecipi de la natura divina, conciosiaché Iddio rivolge l’ombra de le sue compassioni sopra coloro che le ricercano e non inverso quegli die aspettano che elle se gli proferischino. Ma de lo in che maniera le porte de la sua cortesia s’aprano a chi le batte, ne fa fede, oltra quel «volentieri», che gli usci di bocca subito che gli diceste ciò che io volevo, l’onorevole abito mandatomi. Ed è certo che, se il colore e la foggia d’esso si confacesse e bastasse a la mia etá e al mio dosso, io l’andrei portando in gloria de la liberalitá del donatore. Benché il riserbarlo in memoria di ciò supplirá al godimento ch’io non posso averne. Intanto ne rendo grazie a la magnanimitá di lui, che io reverirò in eterno, e a la diligenzia di voi, che osservarò in perpetuo.

Di Vinezia, il 15 di agosto 1540.

DXXXII

A MESSER MARCANTONIO D’URBINO Manda a Fortunio Spira un sonetto sul ritratto di don Diego di Mendoza fatto da Tiziano, acciò glielo corregga. Io, che vi amo tanto quanto voi séte virtuoso e non meno desidero di servirvi che voi di farmi piacere, vi mando il sonetto, che lo obligo istesso e la persuasion d’altri mi ha sforzato comporre sopra la figura che il mirabile Tiziano ha mirabilmente ritrato dal naturai don Diego Urtado di Mendozza, giovane tale, quale dovrebbono essere i vecchi, e si buono e si savio, che né piú savio né piú buono non può essere alcuno. De la magnanimitá e de la scienza non parlo, conciosiach’io non sono abile a comprendere la somma de 1’una né la grandezza de l’altra. Onde ritorno a dirvi che i versi da me fatti ne la materia predetta vi si indrizano peroché gli mostriate a messer Fortunio, acciò me gli correggia, e non a causa che