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espetta, che vi scordaste con che sorte, con qual fede, con che fermezza e in quali anni servii, seguitai, intertenni e adorai il chiaro padre vostro. Vorrei anco che in simile interesso vi uscisse di mente, oltra Tesservi e suggetto per fortuna e servo per volontá, il peccato che è a tórre il pan di bocca a coloro che se lo guadagnano con i sudori de le continue fatiche. Percioché, nel rammentarvi de le sopradette cose, vi si commoverebbe in modo l’animo, che ne fareste una di quelle dimostrazioni che inverso di qualunche personaggio si fusse avrebbe fatto il vostro predecessore. Vagliami, adunque, il puro de la giustizia e osservimisi l’uso de lo statuto suo; ché, si cosi comandate che si faccia, gli ottocento scudi donatimi dal re di Francia, barratimi da chi sa Vostra Eccellenza, mi si renderanno costi con la prestezza che mi si rubarono altrove. Supplisca, ottimo principe, il mio esser virtuoso pertutto al mio non esser nobile in Fiorenza, e tra suddito e suddito non sia differente riguardo; e, se pur c’è, mostrisi inverso del mio deritto e non inver’ la sua condizione. Ma, se la legge di cotesta cittá costuma di ristituire i denari a chi gli giuoca dei suoi, perché non debbono ristituirsi a me quegli che altri ha giocato di mio? Sotterrisi vivo quel gentiluomo, quel gran capitano, che truffa ne la corte reale i doni regi e realmente mandati a le calamitá dei virtuosi. Se non che spero rimborsare cotal somma per mezzo de la vostra giustissima bontade, forse che chi mi ha fatto provare in che sinistro han saputo mettermi le falsitá de le sue carte, proveria in che vituperio saprian metterlo le veritá de le mie penne.

Di Vinezia, il 20 di maggio 1540.