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viscere di coloro che gli adorono, abbino dove appoggiarsi. Ma, perché i vostri andari sono miracolosi, è da creder che l’occassione, che vi si porge, sia fatale. E, se ella è cosi, chi le mancará?

Di Vinezia, il 25 di aprile 1540.

DXXII

AL SIGNOR ALFONSO IDIAGUES

Lodi degli spagnuoli e dell’ Idiagues. Da che le miserie de la povertade cominciarono a farmi provare i suoi stimoli, me ne sono doluto, signore, come se ne dolgono gli animi che nascono grandi ne la fortuna piccola. Ma egli mi rincresce d’essermene doluto piu che non mi spiacerebbe l’avermene ancora a dolere, poiché le sue penurie hanno introduca ne la grazia vostra la servitú mia. Onde mi ammiro di cotal ventura, non altrimenti che si ammirino de la sorte quegli che per sua opera diventano, di miseri, felici. Ora si ch’ io voglio apprezzarmi piú che non mi sono sprezzato, sendo pur vero che lo erario dei secreti di Cesare, il ministro de le facende del mondo e il paragone de la lealtá degli uomini ha consolato, per via de la bontá propria, quello Aretino, che, con la lingua, con la penna, con il core, con lo spirito e con l’animo, essalta, lauda, inchina, ammira e commemora e adora la paziente, la prestante, la egregia, la soprana e la invitta generazione spagnuola. E, mentre mi inchino con la mente a cosi gloriosa gente, prego Iddio che, oltre il prescrivervi lunghi termini a la vita, conceda ai miei inchiostri il potere testimoniare ai posteri come voi con la condizion dei costumi, con la sufficienza de la pratica, con la tolleranza de le fatiche, con la moltitudine de le virtú e con la modestia de la natura, avete onorato il nostro secolo.

Di Vinezia, il 28 di aprile 1540.