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mi diede lo imperadore sei mesi prima ch’io lo sapessi, rovescio de la catena che il re mi promesse tre anni inanzi ch’io l’avessi ; e parliamo de le cose nòve. Ecco: la Maestá di Carlo, senza spettarlo io, mi rallegrò col secondo presente; e la Corona di Francesco comporta che il coppieri de la Delfina ne la sua corte propria truffi gli scudi donatimi. Egli e ben vero che l’amorevolezza degli agenti reali si aguaglia a la benignitá dei negoziatori imperiali. Non è tanto dissimile la volontá dei lor principi quanto eglino son diversi ne la umanitá de la cortesia. Io credo che, da un pasto di montone in fuora, non sarebbe ministro francese che facesse un passo per Domenedio; ma gli oratori spagnuoli, senza punto accennargli, aiutano gli amici con le parole e coi fatti. Il buon don Lope di Soria non altrimenti teneva cura dei miei bisogni che de le sue occorrenzie, e il minor servigio, che mi facesse giá, era il porgermi dei suoi ducati propri, non mancando ora di accommodarmi un anno inanzi de la entrata ch’io ho in Milano. Ma con qual voce, con che grido e con quali detti mi lodarò io del signor don Diego di Mendozza, calamita de le affezzioni, essempio de la caritade e splendore de la dottrina? Tosto che la Sua Mercede intese il successo de la mia disgrazia, fattosi portare la quantitá dei denari ch’egli aveva, gli parti meco. Atto proprio degno de l’animo di si piacevole, di si largo e di si onorato giovane! E, perché la generositá dei famigliari di Cesare gareggia in suo stato con la splendidezza di Sua Altitudine, confesso di esserne tenuto a loro non meno che a lui. Ma, non essendo altra facultá in me che il referir grazie dei benefici che mi fanno l’altrui bontá, accettate, o rifugio de le mie speranze, quelle che referisco a la nobile Signoria Vostra, le cui pietadi mi arrichiscono del dono ch’io ricevo ultimamente da la cortesia Augusta.

Di Vinezia, il 12 d’aprile 1540.