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che, persuaso da la malizia del giuoco e da la tristizia altrui, mi ha condotto di sorte,.che, se non mi fate ristituire i denari perduti con la prestezza che me gli faceste donare, son disfatto da l’ultima miseria. Ma quale occasione potrebbe venir mai, che a voi pietoso e a voi religioso acquistasse piú fama di pietá e piú nome di religione che questa? Ma, quando altro non ve ne risultasse, non è assai che procuriate per l’onore de la regia liberalitá? le cui magnificenzie son sute vituperate da coloro che ne la sua casa propria hanno barrati i suoi doni istessi. E però la immensa grandezza de la sincera umanitá vostra contentisi di scriverne a la Sua Maestade, con dirle che saria uno atto conveniente al re Francesco il non sopportare che le sue cortesie mi si rubino ne la sua corte medesima. Ché, ancora che non fusse presente di lui, la giustizia non debbe operar si che mi si renda il mio?

Di Vinezia, il io di aprile 1540.

DXVIII

AL DUCA DI MANTOVA

Marchese di Monferato. Lo prega di far recapitare la lettera precedente, gli comunica di avere ricevuta da Carlo quinto, per mezzo del marchese del Vasto, una gratificazione straordinaria di dugento scudi, e critica l’avarizia del re Francesco. Per parermi, o signore, che colui il quale paté per povertade non si possa chiamar presuntuoso, non faccio scusa del fastidio ch’ io ho cominciato a darvi circa il caso dei denari perduti, peroché la necessitá e non la natura mi fa temerario. Il suo stimolo causa in me la importunitá del ripregarvi di comandare che a monsignor d’Anibò si mandi la lettra che gli scrivo, e seguane poi ciò che piace a Cristo. E viva l’anima di Cesare e regni la vita sua, da che la misericordia de la Maestá di lui è consolazione di me, suo inutile servo. Ecco: il marchese