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trasferireste. La providenza vostra, felicissimo imperadore, previde sempre le cose megliori, e il valore, che vi arde l’animo, sempre le consegui ; e perciò in voi confidiamo e in voi speriamo. Certamente il cielo vi procreò per far piú famosa la natura, e vi diede ingegno, memoria, ragione, discorso, sollecitudine, diligenzia e fortezza, perché voi ci governaste e difendeste con la caritá che ci governate e difendete ; né vi facendo lecito quello che ad altri pare onesto, temete piú la conscienza che la fama, preponendo tuttavia la gloria di Dio a l’onor del mondo. Onde sarebbe vizio irrazionale a credere che in voi sia scropolo, che si interponga tra la sperata concordia e la temuta controversia. Ne la Maestá Vostra non è inganno, né la menzogna è conosciuta da lei, né per colpa del dare e del non si fidare soprasta a la egregia conclusione; perché Quella ha si famigliare il dare a chi dimanda e il fidarsi di chi riceve, che, se non desse e non si fidasse, lo rimprovereria a le qualitá di se stessa, per esser proprio la cortesia pompa de la magnanimitá di Carlo e la fede tesoro de la parola sua. E, quando fosse che si manchi a Cesare, quel core, che lo mosse ad acquistar tante vittorie, lo moverá a farsi osservare le promesse ancora. Dipoi è atto generoso il lasciarsi occasioni d’intorno, onde la ferocitá de le forze non si irruginisca ne l’ozio. Ora voi, che séte terribile a le genti per la potenza e caro per la giustizia, seguitate pure l’altezza di cosi gran pensiero, non mancando di congiungere, quasi individua Trinitá, la mente di Roma e la volontá di Francia a la intenzione di Spagna. Ché, quando lo effetto di cotanta impresa venisse impedito, la religione dei giá risoluti veneziani, con lo spirituale di tutta la credenza nostra, vi dará le istesse corone e i medesimi trionfi che se aveste domato ciascuna parte de l’Oriente.

Di Venezia, il 4 di giugno 1538.