Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/244

mi diate e perché vi tengo giusto. Non basta oggi di avere piamente operato, peroché la forza de la invidia è grande e la turba dei rei infinita; ed, essendo di piú numero le lingue che approvano il male che quelle che confermano il bene, importa assai la mia penna in testimoniare in che modo lo spirito de la prudenzia vostra è l’anima de la pace e de la salute di cotesto regno. E perciò voi. che potete felicitar gli uomini, fate si che io possa ringraziar la cagione che mi rivolge a sperare ne la vostra bontá somma, rendendovi certo che il piú grato piacer ch’io senta è il pensar di celebrarvi, e la minor lode da me datavi è lo esclamare : — Se la veritá potesse quanto la ingratitudine, il signor Cromvvello sarebbe adorato dal mondo nostro con la medesima affezzione che egli è amato dal re suo. — Or poniam me da canto. Parvi egli onesto che voi, prestante ne l’animo, reale ne la gentilezza, splendido ne la magnificenzia, mansueto nel costume, illustre nel valore, provido ne lo accorgimento, felice ne la fortuna e chiaro ne la gloria, aviate a mancare a la fidanza che mi constringe a credere che non mi mancarete?

Di Vinezia, il 19 di marzo 1540.

DXI

AL SIGNOR CESARE FREGOSO

Anche a lui domanda di interporsi perché gli vengan resi i suoi danari barati a Gian Ambrogio degli Eusebi, scusandosi se la povertá e la vecchiaia non gli consentono di recarsi a Parigi di persona. Per non si potere da un cavalier illustre, da uno uomo gentile e da un spirito generoso, quale è il signor Cesare, sperare se non grazie, aiuti e favori, era certo che l’opera de la Mercé di voi sarebbe tale inverso il caso del danno di me, quale si disidera dal voto de la speranza, che io posi ne la bontá di Quella, giá son venti anni. E, benché mi sia forza confessare di non avere, ne lo scrivervi costá e nel visitarvi qui, usati i