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avere a la memoria di me medesimo, il far l’opere che pure ho fatto. Ma cosi Iddio mi lasci godere la cortesia dei seicento scudi, che per Ambrogio Eusebio mi manda Francia, come il non viver di lui è una de le gran noie che mi perturbino. Egli me ne duole, per Tesser umano uffizio il non bramar la morte altrui e per non potere eleggerlo a sentenziar dei nostri affari. Oltra ciò, egli confessarebbe che fu di mio pensiero lo emendare lo Inamoramento del conte (cosa in suo genere di eroica bellezza, ma tessuta trivialmente ed esplicata con le parole de la antichitá plebeia) ; né per altro mi tolsi da la impresa, che per conoscere di mera infamia porsi al viso del nome la mascara dei sudor dei morti. Edifichiamo la gloria cercata sui fondamenti de lo intelletto proprio, procacciandoci credito per via de le fatiche medesime. Ché, invero, Matteo Maria da Scandiano, giuridizione di Ferrara, e non Francesco da Bibiena, contado d’Arezzo, ne è suto autore. A me pare che chi pone la penna ne le carte non sue acquisti la lode che inerita uno sarto nel rappezzare le sferre vecchie. E la temeritá, che aggiugne e leva a le cose d’altri, ponendosi in caratteri maiuscoli in fronte a le vigilie degli uomini famosi, si debbe coronar di notte, accioché il giorno non si arossi nel vedere simili sfacciati. Ma, per tornare al vostro sempre aver rimproverato la lor perfidia ai miei emuli, dico che io, in premio di ciò, delibero che gli inchiostri vincan la gara, che la morte vorrá forse pigliare con la ricordanza di voi. Ma è peccato che i virtuosi offendino colui che ha rassicurato coi suoi pericoli il loro ardire. E a quanti di quegli che mi cavarian gli occhi ho io tratto la fame? quanti ne ho vestiti e quanti rubati agli spedali? Ecco: un Franco di Benevento, capitatomi inanzi ignudo e scalzo come andrá sempre, doppo i segnalati benefizi da me ricevuti, vòlse concorrer meco, e, per aver detto Pistole e non Lettre , ne va altèro, quasi vincitor di quel ch’io sono. Insomma il numero di coloro, che mi si fan nimici, è uno stuolo di brigate, che mi testificano la grandezza de la virtú che gli provoca a perversarmi ; onde gliene son tenuto come a veri benefattori.

Di Vinezia, il 15 di febraio 1540.