Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/217

ogni eccellenza d’opera che d’ingegno e di mano si vegga. Il secondo toccarebbe a la scoltura e a la architettura, i cui onori si debbono ampliare con il maravigliarsi de le lor fatiche. Il terzo offenderebbe messer Iacopo, uomo degno di riverenza nonché di lode. L’ultimo al giudizio che si dice ch’io ho ne la grandezza de l’arti del sopradetto. E però, in mascara o con l’abito solito, verrete oggi a vedere i sudori mirabili del Sansovinoj’Ché, oltre al dire d’esser debitore agli occhi propri, confessarete che questo serenissimo impero ha due tesori : uno in San Marco e l’altro in piazza. Benché la fama giudica di piú valore questo, che di continuo si vedrá in publico, che quello, che qualche volta si mostra in secreto.

Di casa, il io di febraio 1540.

CDXCI

AL MARCHESE DEL VASTO

Gran capitano. Manifesta tutta la gratitudine sua e di Gianfrancesco Saracino per l’affabilitá con cui li ha trattati il D’Avalos. Ecco, signore, che, per non vi bastar di vincere ogni principe con la maestá de lo aspetto, con la grandezza de lo animo, con il consiglio del senno, con la forza del valore, con la magnifícenzia de la liberalitá e col grido de la fama, volete anco superare ciascuno altro ne la eccellenza de la virtú, ne la gentilezza de la cortesia, ne la bontá de la intenzione, nel fervore de la benivolenza, ne la gratitudine degli effetti e ne la grazia de le parole. Testimonio la eccellente, la gentile, la buona, la fervida, la grata e la graziosa carta, mandata a me, che nulla sono, da voi, che il tutto séte. Benché le lodi, che mi date, son piú tosto ornamenti de la eloquenza vostra che pregi de la indegnitá mia. Ma, con tutto che io non mi possa gloriar del merito attribuitomi dai suoi detti, mi debbo rallegrare de la sorte che la inclina ad esaltarmi. Io non provo men piacere ne lo esser