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CDLXXXVI

AL VESCOVO IOVIO

Ne commenda principalmente il carattere affabile e gioviale, tollerante perfino le scipitezze di alcuni poetastri. Lui beato, che è nato al tempo del gran marchese del Vasto e può goderne, sempre che voglia, la compagnia ! Si come io, illustre monsignore, ricevei la vostra scritta in Mantova, cosi ho ricevuto anco la di voi data in Como. E, mentre lodo la bontá de l’una e ringrazio la mercé de l’altra, dicovi che, senza il testimonio de le due, era risoluto di quanto in mio prò operaste con Federigo Gonzaga, vero lume di benignitá; peroché il giovare ad altri è si proprio del Iovio, che gli parebbe esser disutile a se stesso, tuttavia che non intercedesse per questo e per quel virtuoso appresso di quello e di questo principe. E, oltre che da voi, che séte tutto caritá e tutto gratitudine, non si può spettare se non cose caritevoli e grate, nutrite gli animi degli amici con la manna de la piacevolezza. Per la qual cosa avrei piú obligo a la sorte che voi non avete ai cieli, se mi fusse permesso il potere starvi a lato, nel modo che stetti quando Giulio de’ Medici fu cardinale e alora che egli era pontefice. E di ciò mi ha cresciuto la voglia il revedervi ne la etá di piombo coi cervelli di penne. Ma cosi dee vivere chi vuol viverci, ed è chiaro che il Tempo si rimane, come il nome vostro fa rimaner la Morte, se avviene che un savio, soprafatto da lui, si levi le crespe de la fronte con la mano de la spensieraggine. Basta di esser grave e provido quel tanto che occupano le occorrenze e gli studi, e dipoi ritorni al riso de le ciance e al gioco degli spassi chi brama che la gioconditá del piacere, in cambio del mescergli giorni in sul vaso de la vita, gliene scemi. Perché sol colui non invecchia mai, che mai non pensa a lo invecchiarsi; peroché, dove l’ansia de le cure non preme i petti altrui, le