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la bocca, come i suoi occhi, le sue guance e la sua bocca avessero il solito splendore, l’usato colore e la natia vaghezza. Peroché il venirle manco de la beltá, che doveva scemarmi la ingordigia de la affezzione, me l’acrebbe si forte, che le viscere dei piú cari padri non si riempiono de la doglia né de la pietá, che per conto di cotal sua calamitade si riempierono le mie. Onde ella, ognor molle del pianto che mi disfaceva, potè bene accorgersi che il male del mio core e de la mia anima era piú pestifero che lo accidente che le tormentò il corpo e le membra. In quel mentre il prodigo de la borsa non lasciò nei secreti de la medicina niun rimedio intentato. E il non esser piaciuto a Dio che ella si risani fino a ora, mi è suto gloria, peroché la lunghezza ha di maniera publicate le mie pazienze, che me ne risultano di quegli spassi che rallegrano con il giocondo degli intertenimenti il maninconico de la vecchiezza. E, se nulla mancava a la riputazione che il mio bene amare ha saputo procacciarsi, ci supplisce la sventura de la Serena, il repentino morir de la quale, nel lasciarmi di sé vedovo il senso del viso (perch’io, amandola, altro premio, ancora che l’avessi potuto sperare, non cercai), mi ha distemperato le unioni, che reggono la vita, con si intrinsica passione, che Amore sta in dubbio se debbe darmi la palma del mártire per i torti fattimi dal puerile de l’una o per la ingratitudine usatami dal timoroso de l’altra. Ma, se a la viva e a la’ morta, dovendosi da me e a la morta e a la viva fare il contrario, non ho mancato in niuna di quelle cose che si apartengono a chi ama con tutto il core, che avrei io fatto, essendomi suto data cagione da dovere aiutare ne la infermitá questa e piangere ne la morte quella? Ma io son tenuto a riferir grazie agli errori di tutte due, da che per conto loro la mia lodata e ammirata bontade permette che ogni dama, lodandomi e ammirandomi, mi ricolga nel grembo de la piacevolezza amorosa. Ma udite un miracolo in prò de la immortai divinitá de l’anima. In quel momento che la predetta volò dal mondo al cielo, io, che non sapeva de la sua malattia, sognando, sentii mordermi talmente il dito grosso de la man ritta da uno scorpione uscito d’una sepultura, che mi destai gridando. Ed