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questo Narciso e quel Ganimede. Intanto vi ringrazio de la lettra di cambio circa i cento scudi, una parte dei quali mi si dá per il quartiron passato e l’altra per la paga futura. E tanto piú ve ne sono tenuto, quanto meno ci era il modo di servirmene; talché può chiamarsi non meno dono di voi che pensione di Sua Maestá. Ma forse un di cancellarò una particella dei debiti ch’io ho con la illustrissima Signoria Vostra, ala cui dolcezza mando il Genesi , che Ella mi chiede. E, perché non saprei riferirvi quanto siano state care le raccomandazioni di Quella al celeberrimo messer Fortunio, non le ne scrivo.

Di Vinezia, il 14 di novembre 1539.

CDLXXVIII

AL CONTE AGUSTINO LANDÒ Assai diverso dagli altri gran signori, il Landò mantiene piú di quel che prometta. Ringrazia per sé e per Tiziano del dono di alcune acciughe e di altri commestibili. Veramente voi séte gran maestro nel grado, nel titolo e ne la entrata; ma, ne la natura, nel costume e negli effetti, ci séte piú lontano che non ci sono io. E ciò testimonia il dono, che in vostro nome mi è suto presentato. Sogliono i signori non pur non ramentarsi de le promesse fatte, ma odiar cordialmente coloro che gliene ramentano. Essi, che sempre si ricordano di torre e non mai di dare, tengono per un bel che, quando, doppo mille speronate, si lascian uscir di mano una particella di quello che promettono piú tosto per parer magnanimi che per essere. E voi non solo osservate la parola de la cortesia, ma inanzi al tempo, e alora che non ci si pensa, volete che altri ne goda doppiamente. Ma che bel secolo saria il nostro, se da chi può donare si imitassero gli andari di voi, che sapete prendere l’altrui amicizie e l’altrui servitú con gli ami de la liberalitá, dando indizio, nel dispensare le sue magnificenzie, de la vostra