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affrontato e al gran contestabile da tutti importunato, che vorrei che la bontá del re e la discrezione del gran contestabile avessero a me, che giá tre volte, con questa, ho mandato a la corte per la miseria dei secento scudi, parte concessimi dal motuproprio reale a Nizza e parte largitimi costi da la parola regia. Ma, perché senza voi factum est nihil , a voi gli chieggo e da voi gli aspetto. E ben posso sperar di godergli, da che avete per natura di dare a la virtú del pan proprio, e non di tòrle di mano l’altrui. Oltre di ciò, Vostra Signoria illustrissima rechisi in mente le proferte che le sue lettre mi fecero al tempo de la catena, e poi mi dica se io debbo vergognarmi di richiedere a Quella ciò che da se medesima mi offerí. Ma non voglio che il re Francesco me abbia promesso cosa alcuna, né che monsignor Montemoransi mi scrivessi mai qual parochia, qual piovano fu mai si luterano e si mendico, che non portasse il desinare e non pagasse il salario al frate esclamante una sola quaresima sopra il pergolo la salute de l’anime loro. E, se non si trova, perché indugiare il suo dritto a l’Aretino, predicatore del nome e de la gloria di Sua Maestá da che egli nacque? Io so bene che non è lecito di rompere la legge francese, il costume de la quale vòle che quegli, che debbono ottenere i suoi benefizi, siano canonizzati per san Giobbe prima che se ne investischino. Ma pare a me che la spettativa, che giá due anni mi ha fatto notomia de la speranza, dovesse ormai cavare del purgatorio la mia pazienzia. La quale in ultimo protesta al mondo, caso che non mi si rifacciano i denari e gli interessi, di far sentir le ragion sue fino al di del giudizio. Ma sopportará la Eccellenza del massimo contestabile che io, che ho avotato a la sua clemenzia tutte le mie credenze, non adempia il voto?

Di Vinezia, il 13 di novembre 1539.