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non ai molti anni che ella ruba a la mia servitú, ma ai molti libri da me composti in onore di Dio? Ecco i Salmi di Davit , ecco il Genesi di Moisé , ecco L’umanitá di Giesú, ecco la Vita de la Madre di lui non è vista da lei, perché io non sono approvato nel catalogo de l’ipocrisia. Ma dove sono le scritture che han fatto di Cristo quegli che ritranno cotanti gradi, cotanti fausti e cotante rendite de la Chiesa sua? Non bastò il sapere né il dire a Paolo, a Origene, a Crisostimo, a Girolamo, ad Agostino, a Bernardo, a Gregorio e ad Ambrosio; ma volsero che si leggesse ciò che ne la teologia hanno saputo scrivere. Ma, se io, disperato da le crudeltá de la corte, non manco di mostrar di esser cristiano, che farei io, tuttavia che ella me si mostrasse grata? Di Vinezia, [settembre 1539].

CDLXVI

AL CONTE MASSIMIANO STAMPA

Quando è diventato taccagno, dopo la morte di Massimiliano Sforza! Sia ormai, o signor marchese, il profitto d’ogni mia credenza il non mai piú credervi cosa alcuna. E questo, che vi si dice da me, vi si doverebbe dire da ciascuno che spera in voi, imperoché il vostro animo è diventato decrepito prima che siate invecchiato; talché gli speroni de la magnificenzia, nel pungergli mille volte i fianchi de la cortesia, nonché correre, non la possono pur movere, avenga che il fuoco de la generositá, che vi soleva giá ardere il petto, si è converso nel ghiaccio de l’avarizia. Onde ne nasce che le genti, che, vivendo il duca, ammirorono e goderono de le vostre splendidezze, son divise in due parti: l’una vi si è talmente tolto de la memoria, che a pena se ne ricorda; l’altra vi guarda come si guarda una di quelle statue di santi, che, mancato l’inganno fratesco, non fan piú miracoli.

Di Vinezia, il 3 d’ottobre 1539.