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CDXLIII

A MESSER ALBERTO MUSICO

Certo, il re Francesco è buon intenditore di cose d’arte e sa apprezzare gli uomini d’ingegno; ma guasta tutto col suo prometter largo e attender corto. Io sapeva che la effigie di Plato e la imagine d’Aristotile, che qui vi diedi, avevano a esser tanto care a Sua Maestá quanto il vedere in essempio vivo AfTricano e Marcello ; percioché quella non volge men l’animo a le lettre che a l’armi. E ben fa ad amare la scienza come la milizia, sendo l’una anima del senno e l’altra spirito del valore; onde, unite insieme, stabiliscono in altrui imperio e gloria. Fu degno del giudizio di lui il dire che non discerneva se Platone fusse piú simile a un capitano che a un filosofo : detto molto a proposito, percioché si fatto uomo mostra ne le ciglia il consiglio e negli occhi lo esseguirlo. Gran debito hanno le virtú con la cognizione di cotanto principe. Esso d’ogni arte s’intende e ogni opera conosce: cosa di somma contentezza a lo studio degli uomini, le fatiche dei quali si asciugano il sudore, quando il datore dei premi comprende parte de la sua diligenzia. Greve sbigotimento e aspra pazienza è quella di alcuni, che, mostrando ad altri i parti de lo intelletto e de le mani loro, ne ritranno sentenze villane e lode rozze. Lo ingegno, comendato da chi sa onorarlo e da chi può remunerarlo, si alza al cielo, non altrimenti che si caschi in terra, intoppandosi nel contrario. Ma Francia perde tutto l’onore meritato ne la perfezzione de la conoscenza, con cui egli, nel giudicare le qualitá dei magisteri, supera fino a la corona sua, nel promettere ai virtuosi quei doni, si presti ne le parole, si tardi negli effetti; peroché una cosi fatta cosa si disdiria a la bocca dei papi, nonché a quella dei re. Gli altri gran maestri uccidono con le disperazioni, e la Maestade Sua amazza con le speranze. Ecco che ella, sendo