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LXX 1 A MONSIGNOR BEMBO Si scusa di un cattivo sonetto inviatogli in occasione della morte della Morosina. Egli mi è avvenuto, signore, ne l’udire io celebrare da tutti i pellegrini intelletti la morte de la donna vostra, come avviene a l’uomo pur ieri riavutosi da la infermitadc; il quale, benché ingordo d’ogni cosa che nóce a la salute racquistata, per timor di non ricadere nel male, ritiene il desiderio meglio che puote con il freno de la continenzia: a la fine, rotte le tempre del rispetto con l’audacia de l’appetito, dá di morso in quel frutto che è piú nemico de la sanitá sua. Dico che, nel leggere le rime che questo e quel dotto ingegno ha composto in laude di colei, il cui fine si dee invidiare da che è cantato dal Bembo, come persona volonterosa di compiacervi, ho preso tre e quattro volte la penna in dir di ciò, e tre e quattro volte la paura de la grandezza del subietto me l’ha tolta di mano. In ultimo la Magnificenzia del dolcissimo inesser Girolamo Quirini mi ha sforzato a fare il sonetto che a Vostra Signoria mandai; onde sono inciampato in quel mal passo, dal qual mi guardava. Pure egli è meglio operare inettamente, sodisfacendo a chi te lo comanda, che uscir de la ubidienza di chi ti può comandare, non operando. E perciò io, non per parer di esserci, ma per amor d’un tanto gentiluomo e per debito mio, ho miso insieme come ho saputo i quattordici versi che io vi feci dare; e tremerei solo a pensare a chi la ignoranza mia gli indrizzò, se non mi assicurasse la benignitá del vostro divin giudizio, col quale scuso il mio poco sapere.

Di Venezia, il 21 di giugno 1536.