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è parso scrivermi: è un dono che vi ha concesso la gentilezza del sangue. Nobil cosa è amare una donna, c divina il voler bene a un vertuoso, perché l’amor, che si mette a la vertú, tien di quello che si pone in Dio: olirá di questo, dura sempre, né può scemare per invidia né per gelosia. E perciò stimo che sia grande quello che mi portate, non perché sia grande il merito mio, ma perché me ne fate degno, parendovi che in me sieno le condizioni che dite. Ma con qual servigio, con qual opra sodisfarò io mai a la vostra cordial benivolenza? Se con altro potrò farlo, farollo; se non, il ben volere si ricompensi con il ben volere, e amarò tanto voi quanto voi amate me. E vi ringrazio del prepormi in afTezzione al Colonna, e ben dovete chiamarlo Pompeo magno, e vantarvi anco che vi sia stato padrone, pcroché in tutti i suoi andari la mirabil grandezza sua refulse con realissimo splendore; come non dubito che non resplenda un giorno quella acerrima sicurtá con la quale ho aperto la via del vero. E spero che si confessará la bontá de la mia natura di anno in anno nel modo che la confessate voi, benché, in quanto al mondo, mi potreste chiamar beato, se io me fussi compiaciuto ne la menzogna come ne la veritá. Pure il nome, che appresso i giusti ho acquistato per esser tale, mi è infinita ricchezza. Io son quello che sostengo piú tosto la povertá che la bugia. Or lasciamo andare. Egli non accadeva scusa circa la carta de la marchesa di Pescara, né, con il farmi capace del non me l’aver potuta mandare per tutta la diligcnzia usataci, chiarirmi che séte verace persona. Ma chi crederá che io vada mendicando le cose mie? E cosi fatta trascuraggine deriva dal mio noti aver mai giudicato che meritino fama veruna, perché io le ho scritte a caso e famigliarniente. E certo son degne di poca lode, e, se punto ne hanno, attribuiscasi a l’altrui cortesia. E come io non sia punto superbo, perciò ne fa argomento il mio non tenerne copia alcuna. Come si sia, eccomi pronto ai vostri piaceri.

Di Venezia, il 20 di giugno 1536.