Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/86

ohe la romana gioventú assaliva tutto il di con un bastone, non per altro che per essercitar quelle braccia robuste, che posero il giogo al collo del mondo. E poi, tanto se vive quanto s’ha in mano la spada, su la cui punta è il grado, la fama e la lode di qualunque sa imitar le vostre orme, per le quali si camina al cielo. De Venezia, il 4 di giugno 1536.

LXVI

A CESARE

Lodi. Quelle calde grazie, soprano imperadore, che fervidamente rende a Cristo chi adempisce i suoi desidèri, rendo io a la celeste benignitá de la Maestade Vostra, la qual non pur si è degnata d’accettar le mie indegne lettere, ma d’aricchire con la integritá de le sue promesse le mie povere speranze ancora. O rettor grandissimo de le genti e dei regni, veramente tu solo monarca dimostri d’esser fatto a l’imagine d’iddio e piú d’ogni altro comprendi de la similitudine sua, perché tu solo impcradore trapassi le stelle con le piume de la umiltá; tu solo re fai inviolabili le leggi de la religione; tu solo principe ti armi per l’onor di Giesú; tu solo signore non disprezzi la generazione umana, anzi, come tutti fussemo il prossimo tuo, ci abbracci e. abbracciandoci, ci assicuri dal timore, in cui tiene la pravitá degli erranti il giustissimo coltello de la tua eterna potenza. E perciò Roma tremando temeva la faccia del suo dominatore; ma poi, accortasi che la sua virtú e la sorte sua è una valorosa prudenzia armata piú di simplicitá che di ferro, l’adorò, dando, dopo Giesú, laude e gloria a te solo; come ancor dánno le cittá che hai varcate e, avendole in grazia e in amore fatte compagne de la tua mansuetudine, hanno tolta la palma de l’affabilitá a ciascuno per darla a te. Gran cosa che i consigli e Tarmi degli antichi Cesari sudarono cinque secoli e mezzo in aver pacifico lo stato d’Italia! e tu ne hai presa la possessione