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vostra cortesia che me ne è stata larga, riserbandone però la parte sua a le carte che io debbo comperarne per onorarvi con altro che con parole adattate in questo foglio. Dio mi dia grazia che io riconosca il beneficio qual mi si conviene, onde io mova, per cotale essempio, degli altri signori a voi simili, se dei simili si trovano. E vi bascio le mani.

Di Venezia, il io di settembre 1532.

XXXI

AL CONTE MANFREDO DI COLLALTO

I.o ringrazia del dono di alcuni tordi, che piacquero immensamente anche a Tiziano, e declama contro la ghiottoneria dei frati e contro Leone X. Mangiando, signore, l’altrieri con gli amici non so che lepri squarciate dai cani, che mi mandò il capitan Giovan Tiepoli, mi piacquer tanto, che giudicai il «Gloria prima lepus» un detto degno di esser posto nel coro degli ippocriti, per man dei lor digiuni, in cambio del «Silcntium», che il cicalar fratino atacca dove si dá la piatanza. E, mentre le lodi loro andavano coeli coelorum , ecco i tordi portatimi da uno staffier vostro, i quali, nel gustarli, mi fecero biscantare lo «In ter aves turdus». Essi sono stati tali, che il nostro messer Tiziano, nel vedergli ne lo spedone e nel sentirgli col naso, data un’occhiata a la neve, che, mentre s’ordinava la tavola, fioccava senza una discrezione al mondo, piantò una frotta di gentiluomini, che gli avevano fatto un desinare. E tutti insieme demmo gran laude agli uccelli dal becco lungo, che, léssi con un poco di carne secca, due foglie di lauro e alquanto di pepe, mangiammo e per amor vostro e perché ci piacevano; come piacquero a fra Mariano, al Moro dei Nobili, al Proto da Lucca, a Brandino e al vescovo di Troia gli ortolani, i beccafichi, i fagiani, i pavoni e le lamprede, di che si empierono il ventre con il consenso de le lor anime cuoche e de le stelle pazze e ladre, che le infusero in quei corpacci, erari de le superfluitá de la crapula, anzi paradisi de le vivande