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(delle quali si discorrerá piú oltre), uscite entrambe nel 1539, recano amendue i nomi dei Franco, con le lodi loro prodigate, senza tenere alcun conto dei mutamenti che si dicono avvenuti nella M 2 . Ora, poiché non è possibile che le ristampe anzidette uscissero a Venezia all’insaputa dell’A., che, al dire del Virgili e del Simiani, «esercitava una vera tirannia su editori e tipografi», è da ritenere che esse sieno anteriori alla M 2 . Tutto dunque fa presumere che il rappezzamento avvenuto in questa «fosse un espediente adottato nell’autunno del 1539, quando tra’ due libellisti ardeva piú fiera la zuffa. Le condizioni librarie non permettevano al Marcolini di ristampare l’intero volume; e l’A. volle pure in qualche modo rimuovere subito da sé la vergogna di aver contaminato l’opera sua, mentovandoci il ‘gaglioffo’del Franco ( 0 . Si spiega solo cosi che» nella M* «le lettere relative ai Franco non sono giá soppresse, ma ritoccate e indirizzate ad altri; mentre in un’edizione nuova di zecca sarebbe stato ovvio ommettere del tutto le meno importanti, come difatto avvenne nella ristampa del 1542 [la AP], dove la sola lettera contro i pedanti [clvii] fu ribattezzata col nome del Dolce». Come si vede, una matassa abbastanza arrutfata, dipanabile soltanto mercé un accurato confronto tra la M l e la M 2 . Per fortuna, di questa esistono ancora due esemplari: l’uno conservato nel British Museum di Londra, l’altro, con una magnifica rilegatura con le armi di Francesco I, nella Nazionale di Parigi. Ed è su codesto secondo esemplare (*) che passo a descriverla. Al f. 1, innumerato, frontespizio con grande inquadratura, formante frontone nella parte superiore della pagina (probabilmente lo stesso fregio decorativo della M l ). Nel frontone: Divvs Petrvs ArETINVS I ACERRIMVS | VIRTVTVM AC | V 1 TIORVM j DEMONSTRAtor. Piú giú, il ritratto dell’A., visto di tre quarti a destra (probabilmente il medesimo della M l ). Sotto: De le lettere di m. (1) «Ecco: la sua vigliaccaria [del Fr.] si conchiude nel pungermi in cambio de l’aver io svergognato le cosi fatte opere mie, mentovandoci un cotal gaglioffo». Leti, al Dolce del 7 ott. 1539, nel secondo libro delle Lettere, ed. cit., p. 98. (2) Purtroppo non mi è stato possibile averlo in prestito a Napoli. Ma le esaurienti risposte, che il sig. Auvray, della Nazionale di Parigi, con quella squisita cortesia, ben nota agli studiosi italiani che gli si rivolgono, ha voluto dare a un mio minutissimo questionario, e la rara accuratezza con cui egli ha eseguiti i raffronti da me indicatigli, mi permettono di parlare dell’edizione come se l’avessi sotto gli occhi.