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festeggiare allegramente il santo Natale. Nel frattempo il Marcolinr aveva fatto gemere cosi disperatamente i torchi, che pochi giorni dopo (il 29 decembre) uno dei primi esemplari del libro veniva inviato al duca di Camerino ( 0 . Anche codesta foga precipitosa è tutta giornalistica. E dal racconto fin qui fatto par quasi di scorgere l’Aretino, che, non ostante le mani storpiate da vecchie ferite ( 2 ), lascia andare fulmineamente la penna, felice e raggiante quando riesce a trovare uno spunto grazioso; e il Franco che gli strappa quasi di mano le cartelle per ricopiarle; e il garzone che le porta in tipografía, per riportarne poco dopo, umide e sporche, le bozze; e l’Aretino che le guarda con occhio svogliato e distratto, e le passa al Franco; e questi che le corregge o finge di correggerle, eccetera eccetera. Non è cosi che si fa il giornale? Ma purtroppo non è cosi che si fa il libro, tranne che non si voglia dar fuori un mostro tipografico, come per l’appunto il primo libro delle lettere di Pietro Aretino. Date errate; infrazioni frequenti all’ordine cronologico, voluto dall’autore; grafia non solo scorretta, ma rivelante, nella continua contradditorietá delle spropositature, conte la pronuncia toscanamente corretta dell’Aretino era stata da una parte rovinata dai napoletanismi (o beneventanismi) del Franco, che, nel ricopiare o correggere, raddoppiò alcune scempie (p. e., «robba», «rubbare», «abbitare», «colleggio», ecc.), e dall’altra assassinata dai venezianismi dello stampatore, che, quasi per contrappeso, rese scempie parecchie doppie («amorei», «trare», «arichire», ecc.); —punteggiatura non giá solamente trascurata, ma cosi bestiale da rendere talvolta inintelligibile il testo; — e, a coronamento dell’edificio, una cosi fitta selva selvaggia di madornali errori tipografici, che due grosse pagine d ’errata, poste in fine del volume, riuscirono a mala pena a elencarne la metá. Quale colpo sulla testa ricevesse l’Aretino, quando s’accorse del tradimento usatogli dal Franco e dal Marcolini, può bene immaginare chi pensi che egli rifuggiva dal leggere le cose sue in istampa, per risparmiarsi le arrabbiature, che gli avrebbe (0 Leu. al duca di Camerino del 29 dee. 1537, nel secondo libro delle lettere (ed. Parigi, 1609), f. 6 b. La Ictt., a dir vero, ha la data del 1538; ina, poiché l’A. soleva calcolare l’anno a nativitale, si tratta effettivamente del 1537. (2) Cfr. Luzto, L’A. e il Fr. cit., p. 231 sg.