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una gran ventura i miei vestimenti, quando al tempo de le mascare si trovano ad hebraeos fratres, ché certo fanno avanzo de l’usura, che se gli mangia. Ora io faccio riverenza a Vostra Signoria, e de la sua cortesia la ringrazio.

Di Venezia, il 7 di genaio 1531.

XXIV

AL DUCA DI MANTOVA

Invia alcune stanze in lode di casa Gonzaga, polemizza contro i pedanti e le accademie, e accusa ricezione di una zimarra di velluto e di cinquanta scudi. La Vostra Eccellenza ricerca da me qualche ciancia, per farne ventaglio del caldo grande, che arde questi di, che si trapassano fastidiosamente; onde gli mando de le stanze composte in onor de la genealogia da Gonzaga. Le son cosi fatte, e non mi inganna l’amor dei figliuoli; e del pensier ch’io faccio di tutto il libro insieme ne è secretorio il fuoco. Non nego che non ci sia invenzione e stile, ma confesso gli errori de la lingua. E fu pure strano umore il mio, in non aver voluto usare il sermon de la patria; e ciò ò stato per le notomie che ogni pedante fa su la favella toscana. Se l’anima del Petrarca e del Boccaccio, nel mondo suo, è tormentata come son le loro opere nel nostro, debbono rinegare il battesimo. Mi maraviglio che anche costi non nasca qualche academia di ciarlamenti nuovi, come a Modena e a Brescia, non pure a Siena, facendosi lettore il cavalier Mainoldo, pecora gioiellata. Ora io ho avuto la za marra di velluto negro e i cinquanta scudi, i quali di man propria mi ha contati in casa il signor Benedetto Agnello, imbasciador di Quella e mio onorato fratello. Di Venezia, a 2 di giugno 1531.