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è un can traditore chi ci volge la fantasia. Or fate la mia scusa con le Lor Magnificcnzie; e, caso che non la voglion sentire, eccomi a desinare, se non basta a cena.

Di Venezia, il 20 di decembre 1537.

CCCX

A MALAT

líSTA, mastro di stalla de le muse. Abbasso l’onore e viva la vergogna! Io vi mando il sottoscritto sonetto, il quale ho composto per vedervi in su le furie, per esser suto detto in rima che tenete due concubine e l’osteria, fulminando circa l’onore. Certamente, il mondo ha trovate de le cose ladre, ma ne l’invenzione di si fatto scimonito vince la scempiti di se stesso, anzi supera l’ingegno, che egli ebbe nel trovare de la vergogna. Guardate la differenza del cervello de l’uno e de l’altra. Ecco: il goffo, tutto schifo e tutto in contegno, chiude l’orecchie e gli occhi per non udire e per non vedere i cani e le cagne attaccati insieme, ne il montarsi adosso de le passare; e la saviarella spalanca quelle e questi, per meglio sentire e per meglio scorgere fino a le dolcezze veneree dei galli e de le galline. È pur gran servitú quella de l’onore: egli non andrebbe al bordello né a la taverna, e non usciria de le sue cerimonie per niente. E per l’opposito è pur gran libertá quella de la vergogna: ella va per i chiassi e per l’osterie, e, tosto che vede sere Onore, fa una mascara dei suoi colori e glieli pone al volto; onde il dapoco non sa piú in qual mondo si sia. Che vi parse di Lucrezia? non fu ella matta a tòr consiglio da lui? Era una galantaria il beccarsi la stretta datale da mcsser Tarquinio, e vivere. Quella altra pecora di Curzio si gittò in un cesso per compiacere a l’onore. Muzio bestia arse la mano pur per suo conto. So che il soppiattone non ci còlse i romani