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3 Al gregge bel dei suoi pensier, eh’ intorno d’Adria pascendo van di riva in riva, con Palma de la vita al tutto schiva, Endimion dicea, piangendo, un giorno: — Pascete, o pecorelle, e senza scorno, se del vostro Sebeto il ciel vi priva, ove un tempo so ben che vi nutriva di piú verde pastura un prato adorno. E, se, nel morir mio, seguir la traccia v’avvien d’altro pastor, prego ciascuna che ’l mio mal sol si dica e ’l ben si taccia, perché sol voi sapete e la Fortuna, qual poi tolta me l’ha, che’n queste braccia con le sue stelle un di giacque la Luna. — 4 — Smalti le sponde sue giá d’ora in ora, piú che nel mondo l’odorate valli, il mio Sebeto, e a’ suoi trionfi e ai balli sien le ministre Primavera e Flora. Versin le chiome rugiadosa aurora, e piú gemme il bel fondo e piú coralli, e del suo gorgo i nobili cristalli vincano il Tago, che l’arene indora. — Cosi dicea, mentre la Luna apparve nel sogno a Endimion; ma le parole gli ruppe il Sol con le mentite larve. Da indi in qua di lui si dolse e dole, e per usanza poi sempre gli parve la piú torbida notte il piú bel sole.