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— Or, invece di spin, palme ed allori mi adombraran con sue perpetue fronde, ed orneransi le mie secche sponde d’erbe novelle e di leggiadri fiori. E le ninfe, accordate in vari cori, quando piú spiraran Paure seconde, staran cantando al mormorio de Ponde del suo gran duca i sempiterni onori. Tal che l’antico Tebro a si bel nome ancor se inchinerá con P Istro e ’l Gange, alzando fin al ciel la gloria mia. — Cosi dicea, cinto Porride chiome, il Metauro, di quercia, al Nil che piange, mentre armar vede Francesco Maria. .1 Bembo, giá spumar veggo il mar Tirreno, ripercosso dai remi, e arrivar gente con l’insegna di Cristo in Oriente, per far del sangue altrui molle il terreno. Onde il perfido Scita, d’ira pieno, abbattuto nel cor mesto e dolente, cade al terror che da l’Italia sente, v mentre al superbo ardire ha rotto il freno. Però voi, a cui Febo oggi si mostra del suo pregio immortai largo e cortese, volgetevi a lodar questa etá nostra; perché, s’ogni suo vanto sia palese, penna non sará mai pare a la vostra, né si vedran piú gloriose imprese. P- Aretino, Lettere -1.