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dirò il vero: a ine pare che gli doviate perdonare i mali che sforzatamente vi son suti fatti, perché, sendo voi non solamente capitano e negoziatore di gran faccende, ma uomo d’un conte Guido Rangone, luogotenente del re di Francia, con la giunta de l’essercito, che a bandiere spiegate gridava «emeífige * a la Eccellenza del mio duca Cosimo, avreste cavato il ceppo e la manaia de l’unghie a san Giobbe. Or ringraziamo Cristo, la bontá del quale v’ha diffesa la ragione de la vostra innocenzia.

Di Venezia, il 5 di decembre 1537. CCLXXV 1 II AL SIGNOR DOMENICO GAZTELÙ Dolente che il Gaztelú sia lontano dalla corte di don Lope Soria, ambasciatore cesareo a Venezia, gli giura eterna gratitudine. Egli mi interveniva, nel picchiarmisi la porta, quando eravate qui, come a un bambino, che ciò che sente crede che sia il babbo, che gli porti de le mele e dei confetti. L’esscr io uso del continuo a sentirvi a l’uscio con le nuove de le mie consolazioni è cagione che, sapendo io che séte altrove, mi attristi nel venirmi ognuno a casa che voi. La verni e la cortesia vostra mi han fatto in tal maniera suo, che non son per essere piú mio, se non quanto me ne ridonarete voi. Né mi uscirá mai del core la contentezza che mi scolpiste ne l’anima la sera che mi recaste l’aviso del dono cesareo; onde l’allegrezza, che di ciò sentiste, aguagliò la letizia, anzi la passò, ch’io per tal cosa provai. E cosi son gli amici, cosi debbono i buoni. Ma state sicuro che pagarò cotal debito con una eterna moneta, non mi scordando però di messer Aniballe Palmegiani da Forli, né di messer Marcantonio Patanella, né d’alcun altro gentiluomo de la corte Soria. DI Venezia, il 5 di decembre 1537.