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grazia col revelare a le sue orecchie le cose dategli in guardia da l’altrui fidanza. È ben vero che, tosto che trova un petto di smalto, se ne fa ròcca, e, vincendosi da se stesso, ci imprigiona se medesimo, come ha fatto nel vostro seno, veramente atto a strangolare i suoi stimoli con le mani de la prudenzia. E il tempo, che lo rivela (né ciò se gli può tórre), non si vanti giá di trarvelo de la mente, perché le sue arti non han che fare con le vostre avertenze, di modo che séte unico paragone de la pazienzia, cara vertú, il favore de la quale cresce la gloria a la dottrina, che vi colma d’onore e di lode talmente, che il serenissimo Consiglio dei Dieci v’ha fatto erario dei suoi altissimi intendimenti.

Di Venezia, il 4 di decembre 1537.

CCLXXV

AL CAPITANO FALOPPIA

Invia un sonetto in burla di uno stalliere Malatesta, che vuol farla da poeta. Poiché tutti i poeti de la Tavola riton la danno di petto nel caso vostro, rompendovi il capo del cervello con le chiacchiere de le lor ciabattarie, pigliarò ancor io sicurtá de la pazienza vostra, a la quale ne mando uno in lauda de lo strenuo viro domino Malatesta, filosofo mortale, benché doverebbe star queto ognuno a lo scampanar dei suoi non dirò versi, non avendo piedi da correre né cui da sedere. Egli ne fa d’una mezza silaba, di quindici e un terzo, uscendo da le regole di fra Giannino, che gli mesura con le seste. Or si che aviam fornito di veder tutte le cose possibili e impossibili, poiché fino ai maestri di stalla poetizzano; e ne disgrazio il Petrarca, per non esser suto da tanto di far rime foderate e sfoderate, secondo le stagioni. Che bel vocabolo è «rumica e buffa cornacchia», usato da lui a la barba de la lingua toscana! Mai credetti venir meno per le risa se non ieri, lo gli dico: — Come va Ella, arcifanfana