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L’epitafio son io, quest’altro è il vaso
in cui di Marte è sepolto il figliuolo:
ei, che tien Tossa, è aventuroso e solo;
10 son beato a racontarvi il caso.
Mentre empia di stupor Torto e l’occaso
quel che qui giace, e i dèi da polo a polo,
per tórre a Italia il servii pianto e ’1 duolo,
col suo cenere invitto è qui rimaso.
Presso al Po il tedesco ferro estinse
11 tremendo e magnanimo Giovanni,
a cui lume d’onor le tempie cinse.
Ma, se ’l cielo era parco dei suoi danni,
al mondo facea dir com’ei lo vinse,
correndo glorioso ai ventott’anni.

CCLXXIV

AL MAGNIFICO MESSER GIANIACOPO CAROLDO

Ne loda la secretezza e si congratula della nomina di lui al Consiglio dei Dieci. Fu gran segno, magnifico fratello, del vostro merito e de la mia afiezzione, quando io, che mai non vi vidi prima, benché sempre vi conoscesse per fama, riscontrandovi ne la via, sentii dirmi da l’animo: — Questo è desso; — onde, abbracciandovi e basciandovi, consolai me, che desiderava dimesticarmi con l’amicizia de le virtú, di cui séte obietto. E perciò la fede v’ha fatto, de la bontá de la mente e de la fermezza del core, un vaso tale, che non è in potestá dei secreti di penetrarlo con il liquore che essi soglion lambiccarsi. Perché il secreto è de la natura del mercurio, che essala pertutto, e con piú facilitá si sofiferiscono le passioni del corpo che le molestie date da lui a la lingua, correndole mille volte il di fino in su la punta tle la parola; e quanto piú il pericolo si sforza di farlo tacere, tanto piú gli cresce la voglia di non istar queto, non per altro che per esser figliastro de la fama, onde tenta d’entrarle in