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1 CCLXXIU AL CAPITANO LUCANTONIO [CUPPANO] Invia un sonetto e annuncia d’inviare un epigramma in onore di Giovanni dalle Bande nere (1). Ancora, illustre figliuolo, che quegli che del continuo fanno buone opre non si scrivon l’un l’aliro, non importa, perché la fama, che tien conto d’ogni cosa, gli notifica tuttavia lo stato di loro medesimi. E che sia il vero, voi udite da le sue lingue quel ch’io sono, e similmente io odo da le sue voci ciò che voi séte: onde, senza scriverci mai, ci scriviamo sempre, ritraendone altre consolazioni che quelle che ci recano gli avvisi de le carte, per essere il grido publico una lettra vista e aprovata da tutto il mondo. Si che non vi scusate con esso meco di quel che non mi scuso con esso voi, sendo fuor di proposito il far ciò per le ragioni allegate di sopra. Ma rallegriamoci, poiché il gran duca d’Urbino, al cui giudizio non si può prescrivere il fine, con l’averci raccolti ne le braccia de la sua grazia, fa conoscere al mondo quale e quanta fusse la conoscenza di quel immortai signore, che tanto stimò noi due quanto se proprio. E perciò con l’amo del pensiero ho pescato nel lago de la memoria, perfin c’ho preso l’epigramma e il sonetto che gli misi in mezzo del sepolcro e sotto al suo ritratto; e a voi, che me gli chiedete, affermo che parranno ora tristi, come alora vi parver buoni, perché siamo in un tempo che bisogna far miracoli, non per esser lodati, ma per non esser vituperati. Pure, incolpisi dei lor difetti l’avergli fatti undeci anni sono.

Di Venezia, il 4 di decembre 1537. («) L’epigramma manca. Per questa ragione in M* la fine della lettera fu alquanto ritoccata, ma con tanta sbadataggine, da lasciare le parole «repigramtna e il sonetto», e le altre «pure incolpisi dei lor difetti l’avergli fatti», ecc.; laddove vennero soppresse le altre parole «e sotto al suo ritratto», e il resto cosi mutalo: «e a voi, che me lo chiedete, il mando, e affermo che vi parrá ora tristo, come alora vi parve buono», ecc.