Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/329

Trotti, fattor del duca di Ferrara, mi capitò ne le mani una di quelle che mi scrivavate quando il mio debito era piú sollicito nel visitarvi con le sue; e, leggendoci: «Chi non vi ania per la vertú e non vi teme per la forza è fuor di sé», rintencrito da cosi gran parole, dissi in presenzia di quegli eretici, che pur si chiarirono, che in me non fu mai vertú né forza, ma che ci era ben sempre suta la volontá di onorarvi. E, perché la carta scrittami da voi parla de la maninconia, che tutto trafitto vi condusse il Broccardo in casa, onde gli auguraste quel che gli intervenne, m’è paruto de farvi rivedere i sonetti con cui mi dolsi di quella morte, che egli stesso si seppe procacciare ne l’offendere il divinissimo Bembo, il nome del quale è sacro al tempio de l’Eternitá, e perciò la fama di secolo in secolo lo mostrará come reliquia de la gloria. Si che io prego la dolcezza de la vostra pura bontade che vegga un poco ciò ch’io sapea cinque o sei anni sono, ridendovi e di cotali cosacce e di lui, che, per aver tanto assenzio ne la natura quanto mèle ne l’ingegno, si occupò a petizion de le ciance. Io sguazzo nel sentirmi toccar su dai poeti, e correggo versi e ne aggiungo, caso che ci sicno errori o manchino ne le composizioni che altri mi fa contra, perché son lodi i vitupèri che s’iniagina l’invenzione per darsi spirito e per dilettare a chi gongola, udendo l’arguzie de le sue baiacce. Ora la Signoria Vostra, nel trascorrere ciò che le mando, si ricordi di comandarmi.

Di Venezia, il 2 di decembre 1537.