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l’opere, che vi rubano con gli occhi i volonterosi d’impararle a fare. Si che ponete da parte una de le tante vertii datevi di sopra, e servite me, che son per sempre servirvi.

Di Venezia, il 27 di novembre 1537.

CCLX

AL SUO MESSER AMBROGIO EUSEBIO

Lo dissuade daU’andar soldato. Io, pazzerone, fui l’altro di sforzato di cavarti del capo con le minacce la scomunicata fantasia di tòr moglie; e ora mi è di bisogno adoperare i fatti per trarti del core il ghiribizzo di gire in campo. Ed è pur il vangelo che il pane e i soldati si riducano a la fine in poca valuta; benché mi si potria dire: — Che ti par di loro al tempo de la carestia e al tempo de la guerra? — Parmi che tu sia pazzo solo a pensare d’andarvi, nonché a ficcartici dentro; perché cotal arte è tanta simile a la maestria cortigianesca, che si potrieno chiamar sirocchie, per esser tutte due schiave de la disperazione e figliastre di quella porca fortuna, che non si stracca mai di crocifiggerci per tutti i versi. Certo, la corte e il soldo si possono abbracciare insieme, pcrochè ne l’una s’avanzano stenti, invidie, vecchiezza e spedale, e ne l’altro si guadagnano stroppiature, prigioni e fame. Confesso che la melodia di cicalare si trae da lo starsi a tavola, giardineggiando di andare a Roma o a la Mirandola. Colui, che ha l’animo ambizioso, si reca lá al fin del pasto, e dice: — Io mi voglio mettere in ordine di veste, di cavallo e di servidore, e andarmene a star col papa o col reverendissimo tale; — Io son buon musico, ho qualche lettra, e mi diletto di cacce; — e va’ discorrendo. Io lodo la chimera di cotal suo fcrnetico, perché egli diventa in cosi fatti pensieri un troiano; ma vitupero bene il porlo in opera, bontá dei disegni, che riescono in mangiarti i drappi, il famiglio e il ronzino in due mesi, facendoti nimico il padrone e il paradiso, caso che tu vi vada. Quello mò, che